Oswald Mathias UNGERS, Dorotheenhöfe, Berlin-Mitte, 2001-2003




I Dorotheenhöfe sono un complesso terziario e residenziale realizzato nel cuore di Berlino. Occupa una parte dell’isolato storico di grandi dimensioni della Friedrichstadt, delimitato da Georgenstraße, Friedrichstraße, Dorotheenstraße e Neustädtische Kirchstraße, che si affaccia sull’ampio spazio triangolare determinato dalla curvatura della Bahnhof Friedrichstraße e della Spree. Dopo i danni subiti durante la II Guerra mondiale, l’isolato si era trasformato in un insieme eterogeneo di edifici trascurati e lasciati lentamente decadere. Nel 1998 Ungers venne incaricato di recuperare quest’area urbana, riorganizzando il perimetro orientale. L’intervento si compone di cinque unità edilizie contigue, che ricostituiscono la continuità edilizia dell’isolato dando vita, pur con leggere variazioni volumetriche, ad una composizione omogenea. Le forme, le altezze e i materiali utilizzati si rapportano alla tradizione edilizia della città. Nei prospetti l’architetto ha utilizzato un linguaggio caratterizzato da eleganza e rigore, con disegni definiti da figure geometriche pure, in particolare il quadrato. Le altezze delle varie unità raggiungono i 6 piani fino alla linea di gronda, più altri due arretrati. Ogni unità edilizia mantiene la propria identità di facciata, dovuta ai colori delle lastre utilizzate (dal granito rosso, all'arenaria, alla pietra verde). Le composizioni astratte dei rivestimenti si rifanno allo stile razionale presente nelle varie epoche della storia edilizia berlinese, con citazioni che vanno dalla tradizione tardo ottocentesca a quella del moderno classico. La Haus 1 (angolo Neustädtiche Kirchstraße/Dorotheenstraße) si unisce ad un edificio preesistente, col quale dà origine ad una corte comune, ma se ne distacca nettamente dal punto di vista architettonico; rispetto alle altre unità, è quella che, con le sue ampie vetrate e il colore bianco delle parti piene, di rifà al moderno classico. Il "Wohnpalais Bellevue" (Haus 2), il blocco centrale su Neustädtiche Kirchstraße, è l’unica unità residenziale dei Dorotheenhöfe; contiene appartamenti privati di lusso di vario taglio, fino a 6 vani. Ciò che più colpisce sono i suoi bovindi geometrici e le superfici rivestite in klinker, tipici della tradizione edilizia alto-borghese. La Haus 3 (angolo Neustädtiche Kirchstraße/Georgenstraße) è quella che maggiormente si rifà alla produzione postmoderna di Ungers degli anni Novanta; qui i prospetti sono ricoperti da lastre verdi quadrate, con aperture quadrate (con telaio che le divide a sua volta in altre quattro parti uguali) inserite entro una rigorosa griglia ortogonale. L’angolo si trasforma in una torre quadrata di nove piani con tetto piano, che segna il punto più alto dell’intero isolato. La Haus 4, che si affaccia su Georgenstraße, si caratterizza per rigore ed eleganza; si stacca nettamente dalle due unità ai suoi lati per i colori luminosi dei suoi rivestimenti; nel prospetto riprende la tripartizione del palazzo rinascimentale italiano, con basamento (due piani), elevato (4 piani), parte superiore arretrata (due piani). La Haus 5 si sviluppa verso l’interno dell’isolato con una planimetria a doppia L; il prospetto, di fronte alla Bahnhof Friedrichstraße, è strutturato, come la Haus 3, attorno al tipico motivo del quadrato. Con questa composizione si viene a creare un volume puro, classico, geometrico, che si chiude nella parte superiore con i piani arretrati. Nella parte interna del complesso sono presenti i tradizionali cortili (in questo caso a carattere privato) berlinesi a pianta quadrata, uniti tra loro da passaggi pedonali. Come gli interni degli uffici e delle residenze, anche le corti sono molto eleganti. Sono state realizzate pavimentazioni in travertino e marmo bianco, colonne in granito e pareti rivestite in legno, e si differenziano tra loro per il tipo di piantumazione. Il percorso attraverso corti luminose, passaggi coperti, atri vetrati, corridoi, pareti trasparenti si trasforma in una coinvolgente e variegata esperienza spaziale. (testo e immagini di Pierluigi ARSUFFI, tutti i diritti riservati)